Lo Stato ha il compito di garantire la libertà e, se necessario, limitarla per il bene comune.
Lo Stato non dona la Vita e non può arrogarsi il diritto di toglierla.
La recente approvazione della legge sul suicidio assistito in Toscana, e il primo caso di suicidio assistito in Lombardia, riaprono un dibattito che tocca il cuore stesso dei principi su cui si fonda la nostra società.
La vita umana ha un valore inestimabile, da proteggere e custodire in ogni sua fase, soprattutto in quella terminale, quando il dolore e la sofferenza rischiano di offuscare la dignità della persona.
L’idea di normare il “fine vita” rischia di trasformare lo Stato in un dispensatore di morte, anziché in un garante della speranza, della cura e della sacralità della Vita. È su questo che dobbiamo riflettere, opponendoci con forza a una cultura dello scarto che vede nelle persone più fragili un peso di cui liberarsi.
Si pensi piuttosto a potenziare le cure palliative, la terapia del dolore e l’assistenza domiciliare, affinché ogni cittadino possa ricevere la giusta attenzione e vicinanza fino all’ultimo istante.
In un periodo storico in cui vediamo fin troppa morte intorno a noi, l’orizzonte della politica non può essere agevolare la morte, bensì garantire a chi soffre e a chi sta vicino a chi soffre il supporto necessario per affrontare ogni momento con dignità.
